Lo sviluppo affettivo

Lo sviluppo affettivo
Lo sviluppo affettivo

“L’inizio della formazione dell’Io comporta dapprima una dipendenza quasi assoluta dall’Io supportivo
della figura materna e dall’accuratezza della graduazione delle frustrazioni provenienti da tale figura.
Anche ciò fa parte di quella che ho chiamata “funzione materna abbastanza buona”;
ed è per questa via che l’ambiente si inserisce tra le altre caratteristiche essenziali della dipendenza,
entro cui il bimbo viene sviluppandosi e viene utilizzando i suoi meccanismi mentali primitivi. ”
(Winnicott 1965/1970, Prefazione, p. 9)

Donald W. Winnicott (1896-1971), considerato tra i principali teorici delle relazioni oggettuali e appartenente al gruppo degli indipendenti britannici ha contribuito in modo innovativo alla teoria dello sviluppo della personalità e alle ricerche successive svolte nell’ambito della Infant Research pur nell’assenza di una sistematizzazione organica dei suoi concetti, tra i quali si annoverano la “madre sufficientemente buona”, le funzioni materne di “contenimento/holding e di manipolazione attiva e adattiva/handling”, i “fenomeni e gli oggetti transizionali” (che mediano il rapporto tra interno ed esterno nel processo di costruzione della realtà da parte del bambino colmando lo spazio tra il proprio sé e la madre), il “vero/falso sé”, “l’analogia tra le prime fasi dello sviluppo e la relazione terapeutica”, il “gioco” inteso come spazio noi-centrico cooperativo e co-costruito. L’ambiente ed i traumi ambientali, divengono oggetti di studio e di approfondimento pivotale da parte del pediatra-psicoanalista, con riferimento sia allo sviluppo normale che a quello psicopatologico.  La capacità epistemofilica kleiniana che si esprimeva nel desiderio di conoscere da parte del bambino (inizialmente focalizzato sul corpo materno e sulla sessualità), in Winnicott diventa a tutti gli effetti una autentica “capacità di cimentarsi”.
Come ha affermato Ogden (2001), Winnicott amava infatti evocare i verbi per descrivere i processi di trasformazione, prediligendoli ai nomi utilizzati da Freud.
Nel libro “Sviluppo affettivo e ambiente”, Winnicott ha particolarmente enfatizzato il concetto di “dipendenza” nello studio della prima infanzia, con riferimento al quale secondo l’autore, la psicologia dell’Io assume un valore semantico. La dipendenza inizialmente assoluta dall’Io supportivo della “madre devota”, gradualmente diventa più relativa, lasciando che emerga uno stato di personalizzazione del bambino grazie ad un ambiente facilitante in cui il corpo, lontano dall’essere depositario di scariche pulsionali, diventa un veicolo di comunicazione affettivo-emotiva.
Nel capitolo 2 del libro, Winnicott attribuisce grande valore alla “capacità dell’individuo di essere solo” e sottolinea la necessità di approfondire tale unità tematica alla luce del fatto che nella letteratura psicoanalitica del tempo si era posta l’attenzione alla sola paura e/o al desiderio di essere soli, e/o alla freudiana relazione anaclitica.
La “capacità di essere solo” è “uno dei segni più importanti di maturità nello sviluppo affettivo” (Winnicott 1965/1970, Capitolo 2, p. 31); a titolo esemplificativo può manifestarsi durante un trattamento psicoanalitico sotto forma di silenzio, “che lungi dall’essere una forma di resistenza, diventa una conquista per il paziente” (Winnicott 1965/1970, Capitolo 2, p. 31).
La “capacità di essere solo” presuppone un rapporto monadico con sé stessi in cui si giunge ad apprezzare la solitudine alla stregua di un bene prezioso. Tale raffinato rapporto monadico si differenzia:
-sia dai rapporti diadici lattante/madre che contraddistinguono le fasi precoci della vita umana e che permeano la fase depressiva kleiniana;
-sia dai rapporti triangolari, madre-padre-figlio, sottostanti il complesso edipico.
La “capacità di essere solo” ha un incipit paradossale che si esprime nell’esperienza di essere solo pur nella presenza di un’altra persona; il bambino può essere solo ed imparare ad esserlo in presenza della madre e/o del sostituto materno.
Winnicott sceglie di nominare tale paradosso con i termini “relazionalità dell’io” attraverso i quali l’autore si riferisce al rapporto tra due persone una delle quali e/o entrambi è/sono sola/sole e per le quali la presenza dell’altro/a è fondamentale. La “relazionalità dell’io” può rivelarsi anche con riferimento al rapporto di transfert.
Winnicott cita il rapporto sessuale come esemplificativo della “relazionalità dell’io”, in seguito al quale “l’essere capace di godere di essere solo pur in presenza di un’altra persona” alimenta una esperienza sana e libera dalla qualità del ritirarsi.
La “capacità di essere solo” influenza i rapporti tra l’Id e l’Io; in particolare l’Id rafforza l’Io immaturo nell’ambito dello schema della “relazionalità dell’Io”. Quando l’infante è solo, (Winnicott 1965/1970, Capitolo 2, p. 37) “egli può diventare non-integrato, agitarsi, permanere in uno stato di disorientamento…”. Si viene così a creare una pre-condizione dell’Id grazie alla quale nel momento in cui una sensazione od un impulso pervengano, sembrano reali costituendo una autentica esperienza personale. La fruttuosa esperienza dell’Id, ovvero il vivere una esperienza e sentirla reale, avviene grazie alla presenza della figura materna la quale gradualmente si trasforma in un “ambiente interno”, introiettato e strutturato nella personalità dell’individuo, cementando ulteriormente la “capacità di essere solo”.
Una persona esterna è sempre funzionale – anche a livello inconscio – per essere equiparata alla figura materna, ovvero a colei che nei primi istanti di vita del neonato si è identificata temporaneamente con lo stesso, accudendolo affettuosamente.
Lasciandosi ispirare dall’oggetto buono kleiniano, Winnicott afferma che la “capacità di essere solo” dipende anche dalla presenza di un oggetto buono all’interno della realtà psichica dell’individuo consentendogli di sentirsi avvolto dalla pienezza della vita, pur nell’assenza di stimoli esterni.
Grazie alle “cure materne abbastanza buone”, l’individuo ha potuto consolidare una adeguata fiducia verso l’esistenza di un ambiente benigno.
In seguito a tali delucidazioni, Winnicott dedica uno dei paragrafi del capitolo all’analisi delle parole che compongono la frase “Io sono solo” all’interno della quale:
-“Io” indica uno stadio dello sviluppo emotivo in cui l’individuo si vede e si struttura come una unità; la personalità è concepita come una organizzazione di nuclei dell’Io;
-“Io sono” indica uno stadio dello sviluppo individuale grazie all’ambiente protettivo che lo circonda;
-“Io sono solo” individua uno stadio dello sviluppo in cui il bambino ha la consapevolezza della continuità dell’esistenza della
madre pur nella sua assenza; trattasi non necessariamente di una consapevolezza della mente cosciente ma di una concezione        dell’attendibilità della madre anche se non presente.
Infine Winnicott si interroga sulle liaisons tra la relazionalità dell’Io e l’estasi declinandolo nel contesto rappresentato dal gioco del bambino.
Winnicott invita i lettori a chiedersi qualora il gioco sia una sublimazione dell’impulso dell’Id e/o ci siano delle differenze tra il gioco felice dei bambini e il gioco dei bambini che si eccitano compulsivamente all’interno di una cornice più istintuale.
L’autore così conclude il Capitolo 2 (Winnicott 1965/1970, Capitolo 2, p. 39):

“Si può riconoscere l’importanza della relazionalità dell’Io
senza rinunciare alle idee che sono alla base del concetto di sublimazione”.