Un viaggio nell'Inconscio

Un viaggio nell'Inconscio
Un viaggio nell’Inconscio

La psicoanalisi si è sviluppata come metodo terapeutico per superare le limitazioni operative dell’io causate dal potere dell’inconscio, serbatoio che accoglie gli scarti provenienti dalla disattenzione selettiva e dalla rimozione.
Secondo il modello classico originario, l’analista e il paziente analizzano insieme il flusso degli eventi mentali attraverso la verbalizzazione da parte del paziente il quale non solo crea “libere associazioni” ma al tempo stesso ascolta ciò che sta dicendo, mettendo in atto il processo dell’”ego che osserva”. Tanto più tale auto-osservazione viene nutrita, tanto più l’intervento terapeutico conduce ad un nuovo stadio di integrazione e di controllo accompagnato da una riduzione del carico di disturbo annidato nell’inconscio, depositario dei desideri rimossi, dominato dall’irrazionale pensare del processo primario.
Come afferma Eagle (2011), l’inconscio psicoanalitico contemporaneo è essenzialmente un “inconscio orientato alla realtà” in cui le rappresentazioni cognitive ed affettive delle relazioni vengono interiorizzate e sentite come delle registrazioni astratte delle interazioni con i caregivers di riferimento capaci di riflettere degli eventi reali.
Si è transitati da un inconscio costituito da dei “desideri infantili” ad uno costituito da delle “rappresentazioni infantili”, nonché da degli assunti impliciti in merito a come gli altri significativi possano comportarsi con il soggetto. Come conseguenza di ciò, la pietra angolare freudiana del concetto di rimozione è virtualmente scomparsa, sostituita da una maggiore enfasi attribuita alla dissociazione e al trauma.
Entrambi gli orientamenti continuano a convergere tuttavia,  sull’importanza attribuita al conflitto interno; in particolare si è concordi nel rilevare come il potenziale di attivazione dell’angoscia di certi contenuti mentali che inducono delle difese, sia in parte attribuibile al fatto che essi stessi siano associati a delle reazioni genitoriali negative nei primi anni di vita, quali punizioni, mancanza di riconoscimento e assenza di convalidazioni.
Nelle teorie psicoanalitiche contemporanee sono stati introdotti i concetti di inconscio dinamico, di inconscio pre-riflessivo e di inconscio non convalidato.
L’inconscio dinamico comprende i fenomeni psicologici più vicini all’esperienza raccogliendo un set di “configurazioni sé-altro” che per particolari associazioni con i conflitti emotivi e i pericoli soggettivi non possono essere accettate dalla coscienza.
L’inconscio pre-riflessivo, è la dimora di quei principi organizzatori che operano automaticamente al di fuori della consapevolezza; le strutture pre-riflessive dell’esperienza si formano nel corso della interazione tra i mondi soggettivi del bambino e dei caregivers.
L’inconscio non convalidato riguarda l’esperienza non formulata perché non ha suscitato la necessaria risposta convalidante da parte dell’ambiente. L’azione terapeutica e quindi l’ascolto dovrebbero rivolgersi ad ogni tipologia di inconscio.
Con riferimento all’inconscio dinamico, partendo dall’ipotesi che esso contenga non i derivati pulsionali rimossi, bensì gli stati affettivi esclusi dalla coscienza a livello difensivo per evitare nuove traumatizzazioni, l’analista dovrebbe monitorare gli effetti che le proprie azioni esercitano sull’analizzando, rendendo il legame psicoanalitico una zona di sicurezza nella quale far emergere ed integrare quelle zone precedentemente segregate.
Con riferimento all’inconscio pre-riflessivo, l’azione terapeutica può diventare a tutti gli effetti una procedura con la quale l’analizzando acquisisce la coscienza riflessiva.
Con riferimento all’inconscio non convalidato, il compito dell’analista dovrebbe essere quello di sintonizzarsi empaticamente con l’analizzando, aiutandolo a correggere quel deragliamento evolutivo che hanno subito rispettivamente le esperienze percettive scarsamente definite, e  le esperienze affettive vissute come stati fisici diffusi, piuttosto che come sentimenti elaborati[1].
Il rafforzamento della fiducia nella validità di tale esperienza avviene attraverso il transfert oggetto-sé delineatore del Sé.
Secondo quanto espresso dall’autore post-kohutiano James L. Fosshage (1940-vivente) nell’articolo “Listening/Experiencing perspectives and the quest for a facilitating responsiveness” (1995), l’incontro psicoanalitico può essere visualizzato come un incontro tra due soggettività all’interno del quale l’analista, non svolgendo più il ruolo di chi ascolta esclusivamente in modo oggettivo, diventa un partecipante attivo che influenza il campo interattivo-relazionale intessuto con l’analizzando. Fosshage individua due principali modalità di ascolto:
-“subject centered listening perspective”: l’ascolto empatico da parte dell’analista dell’ esperienza e dei contenuti affettivi dell’analizzando assumendone il punto di vista;
-“other centered listening perspective”: l’ascolto da parte dell’analista dell’esperienza e dei contenuti affettivi dell’analizzando      assumendo il proprio rispettivo punto di vista e/o il punto di vista di un altro individuo che non sia l’analizzando.
Fosshage enfatizza come l’oscillare tra le due modalità di ascolto sia auspicabile; in particolare, la prospettiva “dell’ascolto basato sul soggetto” favorisce una coesione del sé dell’analizzando in caso quest’ultimo risulti frammentato; la prospettiva “dell’ascolto basato sull’altro” promuove assetti relazionali tra l’analizzando e gli altri, qualora sussistano delle criticità in tale ambito.
Si osserva come nella letteratura vedica le dinamiche dell’inconscio vengono descritte ed analizzate in un orizzonte concettuale ed esistenziale più vasto di quello preso in considerazione da alcuni filoni della psicologia occidentale orientati al paradigma cartesio-newtoniano, per i quali numerosi processi e facoltà superiori della mente poiché non spiegabili dalle conoscenze scientifiche attuali non vengono accolti e approfonditi. Nelle teorie comportamentiste e psicoanalitiche più tradizionali, l’esplorazione del mondo interiore conduce ad una conoscenza più dettagliata del passato dell’individuo e degli stadi primordiali della sua esistenza, senza tuttavia ampliare l’attività di esplorazione oltre la sfera individualistico-mentale. “Ci sono due vie per ogni conoscenza. Si può fare esperienza del mondo come oggetto o in forma più diretta conoscerlo endopsichicamente. La cultura indiana ha portato a completezza il metodo soggettivo, mentre la cultura occidentale incoraggia il metodo della conoscenza oggettiva” (Alexander, 1931 pag. 143).

[1] Si colga il nesso con quel bioniano “vuoto e informe infinito” che pervade il mondo delle sensazioni corporee le quali hanno un effetto disorganizzante nei casi in cui l’ambiente non sia stato convalidante.