Jung e la psicologia yogica

Jung e la psicologia yogica
Jung e la psicologia yogica

“Vi é un ponte tra il tempo e l’eternità
Questo ponte é Atman, lo spirito dell’uomo.”
(Chandogya Upanishad)

Carl Gustav Jung è stato il primo ed unico psicoanalista ad aver concepito lo yoga come una espressione della psicologia dell’inconscio, ma al tempo stesso ad aver qualificato come “pre-kantiano” o “pre-psicologico” il metodo di liberazione dagli opposti che viene compiuto attraverso la soppressione dell’io secondo gli assunti fondamentali della disciplina yogica.
L’ottica psicoanalitica con cui Jung si è accostato alla filosofia indiana lo ha portato ad interpretare “l’Oriente” con uno spirito terapeutico simile a quello utilizzato in analisi con i suoi pazienti.
Secondo l’approccio junghiano, lo studio della psiche deve incentrarsi intorno ad una visione olistica in cui gli elementi portanti della cultura occidentale enfatizzanti la razionalità e il controllo della realtà esterna possano fondersi in modo armonioso con quelli della cultura orientale più indirizzati all’interiorizzazione e all’intuito.
“Essere capaci di riconoscere l’archetipo, di vedere l’immagine simbolica dietro il sintomo, immediatamente trasforma l’esperienza. Può essere magari doloroso, ma ora ha un significato. Invece di isolare colui che soffre dai suoi simili, lo unisce a loro in un più profondo rapporto. Ora egli si sente partecipe di un’impresa collettiva – la tribolata evoluzione dell’umana consapevolezza – che iniziò nell’oscurità della palude primordiale e che finirà non sappiamo dove” (Jung, 1951 pag. 115-116).
Il tantra yoga (dal sanscrito tan, espansione e tra, liberazione) a cui si riferisce Jung viene concepito nel suo significato autentico di “espansione dell’ordinario stato di coscienza“ in contrasto con alcune misinterpretazioni mercificanti e riduttive.
Teoria degli archetipi e inconscio collettivo: Jung considera gli archetipi alla stregua di rappresentazioni ancestrali universali presenti nell’inconscio collettivo che supera la limitante dimensione individualistica freudiana. L’inconscio collettivo è un substrato di tendenze biologiche ed istintuali che risalgono agli albori dello sviluppo dell’uomo quando la sua psiche era ancora affine a quella degli animali. Attraverso i suoi simboli onirici offre una guida per la crescita dell’ego personale[1] dai livelli primitivi più istintuali che contengono i semi di ciò che l’individuo potrà e vorrà diventare. Nel suo approfondito studio sui mandala e sui simboli archetipici nell’espressione artistica e nel mito, Jung sottolinea il contributo che la simbolizzazione creativa dell’inconscio offre al processo di crescita della personalità.
Teoria della sincronicità: attraverso tale teoria, Jung (1952) introduce il principio della sincronicità come dimensione esplicativa dei fenomeni non interpretabili attraverso i tradizionali nessi di causalità. Essa consiste in una correlazione psicofisica di livello cosmico. In tal senso, si avvicina perfettamente alla concezione yogica degli individui, che interagiscono come sistemi integrati. Lo yogin si immette in una corrispondenza trasversale di significati tra psiche e soma, espressivi di uno stesso senso meta-spaziale e meta-temporale. La teoria della sincronicità viene considerata un ponte di collegamento tra le idee cosmologiche orientali e le moderne intuizioni della fisica quantistica.
Libido: l’idea junghiana di libido (energia vitale) trova la sua corrispondenza nel concetto indiano di Brahman, entità creatrice che unisce gli opposti. Lo yoga anela alla fusione tra anima individuale e universale come già sottolineato nel Capitolo 1; nella psicologia analitica il processo di introversione tende all’unione della coscienza con il suo opposto: l’inconscio. L’energia prorompente del Brahman si manifesta secondo un principio di armonia cosmica, così come la libido viene direzionata dall’intenzionalità umana, che tende all’armonia e conduce all’autorealizzazione.
Il processo di individuazione: Il processo che conduce al bilanciamento della parte cosciente con quella non cosciente, ovvero alla totalità psichica, di cui il sé riscattandosi dal suo ruolo di subordinazione verso l’io ne diventa l’elemento rappresentativo, viene definito come processo di individuazione. Il processo di individuazione comporta il riconoscimento dei valori autentici definiti come valori individuali, differenziati dai valori collettivi o esterni che spesso gli esseri umani assumono come propri.
Jung ritrova nel pensiero indiano il modello del processo di individuazione, ritenendo che quest’ultimo implichi uno spostamento della personalità dall’io al sé e l’unione degli elementi consci e inconsci, razionali e irrazionali in uno stato di completezza e di armonia.
Il sé è l’archetipo appartenente all’inconscio collettivo che conduce alla completezza dell’ego. Il sé viene alla luce solamente attraverso gli archetipi che inviano dei messaggi all’ego attraverso sogni e simboli, tuttavia rimanendo nell’oscurità dell’inconscio senza poter essere mai direttamente conosciuto. La base della consapevolezza rimane affidata all’ego. Jung affermava: “Nessuna coscienza può esistere senza un ego; la coscienza necessita di un centro. Non conosciamo altri generi di coscienza né possiamo immaginare una coscienza senza ego” (Jung, 1934 pag. 283).
Purtroppo Jung non spinse la propria ricerca al di là della concezione dell’ego ordinario come epiteto della ordinaria coscienza; la psicologia yogica assume invece l’esistenza di una coscienza superiore che conduce alla totale rilevazione e conoscenza dell’inconscio, individuale e collettivo, grazie alla disidentificazione dell’io dagli involucri corpo e mente.

[1] C.G. Jung usa il termine “ego” come sinonimo di “ordinaria coscienza vigile” mentre in Freud tale termine possiede componenti sia consce sia inconsce.